Saranno esposte fino al 30 agosto, a pochi passi dal municipio e dal cinquecentesco Palazzo marchesale, le ceramiche artistiche di Lina Marilli e Marika Gravina. Un’occasione in più per ammirare forme e stilemi di un’arte che, particolarmente fiorente nel ‘600 e nel ‘700, aveva poi conosciuto lenta decadenza e inevitabile dissolvimento, prima di tornare a “respirare”, nel cuore degli anni ’60, intorno alla fornace di Michele De Vietro, ultimo figulo laertino. Da quella spinta ritrovata, con l’entusiasmo, ma anche tra le non poche difficoltà che ogni tentativo di “riappropriazione” culturale comporta, quell’antica arte che rende ancora oggi Laterza famosa nel mondo sta pian piano ritrovando se stessa. Grazie anche all’impulso dato dall’Istituto d’Arte che, fortemente voluto a Laterza dieci anni fa, solo per la sezione ceramica, come sede distaccata del “Calò” di Grottaglie, e dal 2007 accorpato al liceo “Vico” laertino, ha accompagnato anche “pedago gicamente” l’operazione-rilancio già avviata sul campo da altre botteghe di maiolica. E da quella scuola Lina Marilli proviene: nel suo laboratorio di contrada Cappuccini, al tornio Antonio Marilli giovanissimo figulo, ex istituto d’Arte pure lui, prendono vita gli oggetti che poi smalta, decora e inforna: piatti da parata, presentatoi, albarelli, brocche che richiamano i colori (blu, giallo, verde ramina) e le forme di un tempo. Ma non solo. Insieme alle riproduzioni del celeberrimo Mangiamaccheroni e di Diana cacciatrice, opere di Angelo Antonio D’alessandro, uno dei «protagonisti della maiolica italiana del’età barocca» (G. Donatone, La maiolica di Laterza, Bari), nella mostra di Lina Marilli e Marika Gravina (anche pittrice), trovano posto reinterpretazioni e sperimentazioni, decorative e formali (vasi e piatti policromatici, elaborazioni grafiche e rappresentazioni ispirate da chiari intenti e richiami interculturali), che le autrici propongono agli attenti visitatori, quasi a volerne leggere le im pressioni e le reazioni: “ritorno” che comunica.