La filosofia, cerca il “perché” la religione spiega il “come”
Preghiera e confessione illuminano il proprio intimo
Il prete solo (tristezza del cuore) per essere a disposizione di tutti
L’inferno? Ormai è tempo di riproporre l’Apocatastasi
Implicito appello finale: leggere è come pregare
Le piccole grundfrage.
Uno dei compiti, forse il più gravoso, dei sacerdoti è rispondere alle
domande su Fede e sacerdozio che giovani e adulti sogliono rivolgere
loro. Si domanda per capire, per curiosità, per “tentare”, per trovare
una risposta alle proprie ambasce e “pruderie”. Ma alcune domande sanno
della leibniziana “grundfrage” (Questione fondamentale). Il grande
filosofo e matematico tedesco (1646 – 1716) si domandava: “Perché esiste
qualcosa invece che nulla?”, domanda che s’era fatta anche Sigieri di
Brabante (1240 – 1280) un filosfo fiammingo molto stimato da Dante, che
lo mette in paradiso.
Don Franco Conte, arciprete in Laterza,
giornalista, docente e autore prolifico di libri religiosi, fino alla
insidiosa “Intervista a Dio”, dopo la sua autobiografia, una sorta di
congedo dalla scrittura, è di nuovo “caduto in tentazione”, però
incolpando chi scrive queste righe, ed ha volato assai più in alto: ha
risposto ai “Ma perché?” di ragazzi e fedeli, in un linguaggio semplice,
accessibile a tutti, istruttivo e godibile. E, per mantener fede alla
sua fama di parlatore schietto, talvolta non ha risparmiato la
contestazione di molte inutilità rituali e di commistione fra chiesa e
salotto, o ballatoio.
Ed ha affrontato i grandi temi del
cattolicesimo, subito spiegando che la fede è credere in un oltre se
stesso, che è anche scorgere la verità che abita in ciascuno, per cui
“fede e ragione sono le due ali” per volare sopra le caducità umane. E
perché, dirà più oltre, mentre la filosofia, cerca il “perché” delle
cose, la religione, o meglio Gesù, spiega il “come”, da una parte una
qual aridità, dall’altra la reciproca immedesimazione.
E la Bibbia,
perché la si vuole parola di Dio, mentre è soltanto parola d’uomini?
Perché oltre a raccontare fatti veri, la Bibbia sostiene il comandamento
di Dio: non avere idoli (cioè non idolatrarsi) e predica soltanto
carità e giustizia, la quale giustizia, è stato detto, è “la carità del
saggio”.
Don Franco, poi affronta il più scabroso problema del
cristianesimo, l’inferno. A tutti questa pena eterna sembra illogica e
ingiusta perché, il Padre misericordioso non può comminare l’inferno per
l’eternità per miserrimi peccati su questa Terra, altrimenti che
misericordia avrebbe? Il lettore s’aspetta che Don Franco, capace
d’ironia e autoironia, s’involi a riesumare l’Origene dell’Apocatastasi,
della riconciliazione finale, o della riconciliazione in sé, per cui
nella testa di un qualsiasi padre non può esistere l’Inferno, invece
s’involve nell’ortodossia secondo la quale l’Inferno ciascuno se l’è
cercato; ed invece il Figlio ha detto: “Perdona loro perché non sanno
ciò che fanno” e il filosofo laico (Socrate) aveva detto “commette il
male chi non lo conosce”. Il peccatore, quindi, è un incapace, almeno
momentaneo, di intendere e volere. E la punizione per i rei? E chi l’ha
detto che costoro siano felici? Dio, onnisciente, non può non conoscere
lo strazio del rimorso, che è una punizione immediata e incessante.
Poi l’arciprete torna a bordeggiare sul ciglio della sua gravina
(“tristezza del cuore” da solitudine) dicendo non dicendo sulla vita del
sacerdote: solo per essere a disposizione di tutti in ogni momento, i
tutti di una “vita sazia e disperata”, preda del “tedium vitae”, “atra
bilis”, oggi depressione.
Quanto alla preghiera, da precarius, dice:
è sì un impetrare qualcosa, ma impetrando si giunge alla chiarezza,
molte cose diverranno chiare. Chi parla difficile (Plotino) ha detto che
la preghiera sia ontogonica, cioè generatrice di un essere nuovo. “Vive
bene chi prega bene, sintetizza l’arciprete. Alla categoria
esistenziale della preghiera appartiene anche la confessione: illuminare
il proprio intimo e ottenere il perdono per darlo.
E
sull’eutanasia, oggi problema assai diffuso per la raggiunta longevità e
dolorante inermità? Montaigne riprende Seneca, un filosofo latino caro
ai cristiani: “Il saggio vive quanto deve, non quanto può”. Non ancora i
cristiani.
Sulla sessualità, don Franco si appoggia a S. Agostino:
“Ama e fa’ ciò che vuoi”, cioè rispetterai il coniuge. Ma, forse, mai
come oggi la società è stata così tanto erotizzata.
Molte pagine sono dedicate al galateo da usare in chiesa, dai cellulari alle offerte.
Don Franco liquida in poche righe i testimoni di Geova: come si fa a credere a chi dice di discendere da Abele?
Infine, l’otto per mille è sì una grande somma, ma insufficiente per le
infinite necessità, umane e artistiche, della Chiesa nel suo insieme.
Pagine da leggere o in scrivania, per ragionar con esse, ma anche in
poltrona, magari avendo per sottofondo le banalità della tv.
Ps:
Dopo tante pagine “chiesastiche”, anche se fuori testo, uno sguardo
dalla finestra, una citazione laica, quella di Umberto Eco, che echeggia
il Nietzsche di: “Ho l’età dei miei maestri”. Il grande semiologo e
filosofo italiano, scomparso il 19 febbraio 2016, ha chiuso il suo
insegnamento con questo lascito: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto
una sola vita. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino
uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava
l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. O è
ontogonica, rigeneratrice dell’essere proprio come la preghiera.