La città di Laterza in rete

L’assurdo in dialetto. Serata culturale la vigilia di Ferragosto in quella specie di anfiteatro naturale che è la piazzetta della Mesola, vico Balbo. Franco Carrera, già prof. di matematica, studioso di tradizioni locali e pittore, ha messo in scena tre suoi atti unici in dialetto. L’iniziativa è stata curata dall’Associazione culturale “La scena”, che dà il nome anche alla compagnia teatrale, presieduta da Rosanna Bruno, il Comune, nell’ambito delle rassegne estive curate d al l’assessore Licia Catucci, ha provveduto alle spese di scena. I tre atti rappresentano tre momenti di vita paesana, non nel senso di vita un po’ retrò tipica dei paesi, di gente, cioè, che “non ha mai visto mondo”, ma nel significato assunto nel tempo dalla parola “paesano”, che, invece, vale per tutto il mondo, sotto ogni latitudine, da cui i proverbi: “Tutto il mondo è come casa tua” e “Tutto il mondo è paese”. Carrera ha messo in scena i dialoghi del dire e non dire: o di chi parla per sentito dire o di chi parla per allusioni; della credulità popolare sorella gemella della superstizione; e dell’attore nato dinanzi agli spettatori nati. Tre dialoghi, in un sol dialogo: quello fatto di nulla, dove il nulla è un destino. E ha sostenuto questo volteggiare del nulla con il ritmo e l’eloquenza del dialetto, dando allo scorrere della trama ora la velocità della sintesi che solo i dialetti sanno avere, ora la lentezza della dispersione, dell’amarcord, che solo i dialoganti del nulla sanno avere. Gli attori erano così immedesimati nei loro personaggi, che sembravano viverli, invece che recitarli. Carrera, autore e regista, coadiuvato nella regia dalla Bruno, sembra venire dritto dritto dalla Commedia dell’arte, con reminiscenze atellane: il recitare spontaneo, improvvisato e di pudica licenziosità che, spentosi quello greco-romano, ha costituito il secondo momento del teatro mondiale. In “Tumes” (Tommaso) tre diversi interlocutori, tutti senza nomi, hanno raccontato all’ignaro, e scocciato, signore in compagnia di un giornale, le disavventure di Tommaso e della sua famiglia, disavventure che nessuno conosceva. In “Il diavolo” Carrera ridicolizza l’artista, “colui che scava nel ventre di Dio”, la moglie dell’artista che pensa al concreto della spesa e della pulizia di casa, gli acquirenti per i quali un quadro è una componente dell’arredo casalingo, che dev’essere in armonia con i colori delle stoffe già esistenti, e il diavolo portatore di gloria e ricchezza, ma mandato via perché solo un “povero diavolo”, che si toglie la parola povere per farsi passare diavolo, senza esserlo, così come non un Cristo il “povero cristo” senza “povero”; alla fine l’istinto difensivo della moglie rompe la mazza di scopa sulle corna del diavolo e al solo sentire la parola “corna”, l’artista scende dal suo tronetto e vuol sapere del destino avuto dalla sua fronte. In “U tre semblece”, la formula matematica del Tre semplice, Carrera mette in scena di nuovo l’assurdo: l’isteria su idee sconosciute, l’incredulità dopo la credulità nella riesumazione del rito dell’affascino, cioè il far svanire il mal di testa da complimentosa invidia, l’immedesimazione con un affabulatore, confutato da un bambino, infine la crisi d’identità in un monologo virtuosistico. Il dialetto manifesta il suo essere lingua, ma d’altri tempi e d’altre credenze, dimostra l’aurea regola che il linguaggio è figlio del suo tempo e, lezione di grammatica per i leghisti, imbalsamato designerà un popolo morto, non un popolo fiero di sé. Per esempio “ngapstret”, può essere tradotto con: invischiato, attorcigliato, avviluppato, ma designa un animale da cortile legato a una corda lunga che girandosi e rigirandosi non ne può più uscire, immagine scomparsa e con essa la parola onomatopeica. Oppure “crit e muert”, un giuramento, fatto sui morti, per il rispetto che se ne portava, oggi nulla è più rimosso della morte. Infine l’esilarante “affascn”: scomparse le megere dilettanti eppure efficaci e sostituite da fraudolenti maghi, perenne immortale invece la madre che crede e subito dopo non crede più e che vuole sempre di più. Sul piano letterario, Carrera rimanda alla corrente del teatro dell’assurdo di Becket e Ionesco, ma avendo messo in scena episodi reali, dice che l’assurdo, “l’incomunicabilità, la comunicazione del nulla” sono molto più attuali di quanto si creda. Oltre a Carrera, autore, regista e interprete principale, la compagnia “La voce” presenta due prime donne, Mariella Montrone e Dora Liotino, due comprimari, Pietro Dell’Orco e Nella Pulignano, e poi interpreti ciascuno in grado di andar oltre la parte avuta: Antonella Azzarano, Vito Campanella, Delia Conte, Pietro Conte, Maria Antonietta Falcone, Marisa Paciulli, Dominga Rizzello, perfetto nella sua scugnizzeria Francesco Bozza (11 anni). La piazza era gremita e partecipe: la domanda di cultura è forte.



» Corriere del Giorno

» Fonte: Corriere del Giorno
» Autore: Michele Cristella
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