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Quella di Miroglio, in Puglia, è la storia di un fallimento “di successo”. E forse il sospetto, o almeno il dubbio, che sarebbe andata così avrebbe dovuto far rizzare le antenne sin da subito. Rivelatore l’episodio, riportato sul Corsera del 21 maggio 1997, in cui gustosamente si descrive Franco Miroglio (il capostipite dell’attuale dirigenza, morto nel marzo scorso) “a caccia disperata di un ministro per tagliare il nastro”. Si era alla vigilia dell’inaugurazione dei due stabilimenti, in programma per il 2 giugno successivo, e Miroglio insisteva per avere la presenza di un esponente di peso del 1° governo Prodi. Ma sorprendentemente avevano declinato l’invito ben due ministri (Bersani e Treu), mentre all’ultimo momento si presentò Vincenzo Visco. E così Miroglio, che pensava che il governo gli avrebbe fatto un monumento per i nuovi posti di lavoro, dovette accontentarsi della presenza “riparatrice” quanto fugace di Visco e del sottosegretario al Bilancio, Isaia Sales, oltre a vip e autorità locali. Ovviamente non gli bastò. E lui, ex deputato del Carroccio (una toccata e fuga di due anni) ma soprattutto imprenditore "sabaudo e leghista (senza tessera) ma non separatista", come si autodefiniva, non seppe far di meglio che trasformare la giornata in una resa dei conti con accuse durissime al governo che "danneggia invece di aiutare il Sud". Lanciò i suoi strali in ogni direzione: dall’assistenzialismo alle gabbie salariali (il suo “sogno”), dall’orario di lavoro alla pressione fiscale. Le amnesie di Miroglio Il re dei telai, però, dimenticò di dire che per costruire i due nuovi impianti supermoderni a Ginosa e a Castellaneta, progettati per 408 nuovi posti di lavoro a regime, su 155 miliardi delle lire di allora complessivamente investiti, aveva incassato 96 miliardi di fondi pubblici attraverso la Spi, la società Iri per la promozione industriale (50 di finanziamento agevolato, 40 di contributo a fondo perduto e 6 come partecipazione azionaria al 10 % del capitale). Il generoso marchingegno della legge 181, diretta discendente della Cassa per il Mezzogiorno, aveva dato buona prova di sè. Ma evidentemente Miroglio, nemico giurato della politica assistenziale, soffriva di forti amnesie. Il che gli fece meritare la secca replica del sottosegretario Sales: "Miroglio è venuto al Sud grazie a forme incentivanti". Ma no… Senza tralasciare una leggina della Regione Puglia “con dedica” – e infatti la chiamarono legge Miroglio – che gli permise di costruire su aree agricole a Ginosa e persino a due passi dalla gravina di Castellaneta. Il tutto a tempo di record. Altro che gli slogan d’oggi: un’impresa in un giorno. E ancora, grazie ai contratti di formazione lavoro e ad una contrattazione di secondo livello particolarmente soft (per l’azienda), la famiglia Miroglio massimizzò il profitto di quell’investimento tessile sbocciato improvvisamente in un deserto industriale. La saga familiare Ecco, da Franco e Carlo sino ai figli Edoardo e il giovane Giuseppe (36 anni), quella degli amministratori del gruppo Miroglio è una storia di famiglia. Una saga nella cui agiografia c’è un anno di fondazione, il 1884, e un avo, Carlo Miroglio, che partì con un negozietto nella natìa Alba. Poi, nel 1947, Giuseppe Miroglio avviò un’attività industriale di tessitura nel centro di Alba e nel 1955 creò il marchio Miroglio Vestebene con lo scopo di fornire alle donne abiti pronti: il primo vestitino seriale fu venduto a 1.000 lire. Insomma, filati, tessuti e confezioni sono sempre andati di pari passo nella vita del gruppo. Il cambio di strategia Qualcosa è cambiato, però, quando hanno preso piede i marchi – oggi in portafoglio ce ne sono 16 con 15 milioni di capi confezionati – con tutto il contorno di strategie di marketing e scelte commerciali aggressive e ad Alba hanno cominciato a coniugare il verbo più in voga: delocalizzare. E infatti produrre a Ginosa e Castellaneta, profondo Sud, per il gruppo Miroglio altro non è stato che l’applicazione delle nuove teorie post- industriali. Innovare il prodotto, ma anzitutto farlo al minor costo possibile, ovviamente nel posto giusto. Così gira e rigira, nel 2001, Miroglio fa il bis in Bulgaria. A Sliven rileva un’azienda dell’ex regime comunista, il lanificio Slitex, sfruttando la privatizzazione e il taglio della metà dei lavoratori per debuttare trionfalmente nel settore laniero. E’ il primo passo per avvicinarsi alla Turchia, mercato tessile in forte espansione. «Il tessile italiano ed europeo — dice in quei giorni Franco Miroglio al Sole24Ore — dovrà delocalizzare almeno la metà della produzione entro i prossimi cinque anni, al massimo dieci». Che cosa significasse questo concetto, a Castellaneta se ne sono accorti nel 2005, quando Miroglio ha fermato la produzione e a Ginosa negli ultimi mesi, allorchè l’azienda ha diradato le commesse e, soltanto un paio di settimane fa, ha annunciato ai sindacati che la strategia per il futuro è rappresentata da un solo parametro: chiusura. Strategia che si può spiegare, ancora una volta, attraverso le parole dirette di Franco Miroglio: «Intervenire sul costo del lavoro in Italia – confessa sempre al Sole24Ore - è impossibile e anche nei nostri stabilimenti nel Mezzogiorno, a Ginosa e Castellaneta, pur incentivati dallo Stato, tra manodopera ed energia i costi sono più alti del 30-35% rispetto a qui. In Bulgaria c’è poi un vantaggio importante: la libertà di licenziamento. Magari ci fosse anche in Italia». Cina, la nuova frontiera Lo sbarco in Cina, nel dicembre 2004, arriva come conseguenza naturale di questa nuova filosofia imprenditoriale. Miroglio sigla un accordo di joint venture con Elegant Prosper, azienda cinese specializzata nell’abbigliamento femminile di medio-alto livello. 5 milioni di euro per acquisire la metà della società asiatica e disporre di oltre 130 punti vendita sul territorio della Repubblica Popolare. Miroglio, cioè, punta a vendere nel Paese asiatico, oltre che a produrvi i suoi marchi: made in China, ma con gusto italiano. La società si rinnova Le novità societarie di rilievo sono datate ottobre 2006. Il gruppo tessile e abbigliamento, ormai giunto alla quinta generazione, non è più solo un affare di famiglia. Infatti, il nuovo consiglio di amministrazione decide di aprire le porte ad alcuni manager esterni, una piccola rivoluzione che non va a stravolgere la presenza e la guida della famiglia ai vertici aziendali. Giuseppe Miroglio, ad appena 34 anni, assume la carica di amministratore delegato affiancando Edoardo Miroglio, già da tempo a capo dell’azienda. Due cugini al comando, ma la doppia guida dura poco, sino ad ottobre 2007, quando Giuseppe diventa amministratore delegato unico, raggruppando tutti i poteri. Dal Corriere Economia si apprendono notizie interessanti sullo stato si salute del Gruppo. La società è sana, avendo chiuso il 2006 con un utile netto di 8,4 milioni di euro, ed ha una politica aziendale chiara. Nel settore Tessile, sempre nel 2006, viene completata la ristrutturazione del comparto iniziata nel 2005: in Germania con il fermo dell’attività produttiva, in Italia con la messa in liquidazione della Filatura di Vitalba e il fermo produttivo della collegata Manifattura d’Abruzzo, oltre alla Filatura di Castellaneta. Al contrario, continua a crescere la presenza in Cina attraverso la Zheijang Miroglio Fulida (che produce tessuti uniti di bassa gamma) e con la Miroglio Shanghai Commercial & Trading, che ha già aperto un primo negozio Motivi a Shanghai. E vola letteralmente la joint venture con Elegant Prosper, che ha una crescita dell’81%. Turchia, ponte per il Medio Oriente L’ultimo colpo di coda del Gruppo Miroglio è recentissimo. Il 25 giugno scorso ha acquisito il 50% del Gruppo Ayaydin, uno dei più significativi concorrenti sul mercato turco. L’accordo, con un piano da 120 milioni di euro in cinque anni, è una finestra aperta sui mercati emergenti (tra i quali Russia, Romania, Ucraina, Bulgaria, Kazakhstan, Moldavia). «Questa joint venture rientra nelle nostre strategie di sviluppo sui mercati esteri in aree del mondo oggi in forte crescita – nota Giuseppe Miroglio -. Come già per la Cina, attraverso la partnership con Elegant Prosper, abbiamo rivolto la nostra attenzione alla Turchia, uno dei paesi in forte sviluppo più interessanti sia per le dinamiche del mercato interno sia per le sue caratteristiche di ponte verso l’Europa dell’Est e il Medio Oriente». Ecco, se qualcuno voleva sapere dove sta andando il Gruppo Miroglio, la risposta è semplice: ad Oriente, via Turchia. Ma prima ha usato la porta di servizio: la Puglia.



» Fonte: Corriere del Giorno
» Autore: Massimo D’Onofrio
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